La crisi in Ucraina
assomiglia troppo a quella che negli anni novanta devastò la Jugoslavia.
In Jugoslavia l'ultimo atto
della guerra venne rappresentato dall'"operazione tempesta" nella Krajina
croata e vide l'espulsione in massa della popolazione serba che abitava quelle
regioni da secoli.
Analogia nel nome, questione
etimologica si, ma che cela la sostanza delle vicende comuni ad una zona
appunto di frontiera, Ucraina come Krajina hanno lo stesso significato, terra
di confine, frontiera.
Da sempre terre e popoli
facili preda di nazionalismi e di una etnicizzazione dirompente nei rapporti
sociali, paradosso di una storia che in Europa come negli USA si vorrebbe
passata.
La visuale eurocentrica non
aiuta a comprendere quanto accade e quanto è accaduto in passato nelle terre
di confine. Qualche nostalgico neofascista ha voluto farci credere che
l'abbattimento delle statue di Lenin o in Croazia di Tito aprissero al mondo
strade nuove e felici ai popoli coinvolti, ma così non è stato, mai.
La crisi Ucraina nasce in un
paese che non è mai stato uno Stato-nazione, da sempre attraversato da lingue,
culture e popoli diversi, ed ora attraversato letteralmente da oleodotti e
metanodotti che portano nella EU gli idrocarburi russi.
Contrariamente a quanto
vogliono far credere i seguaci del "complottismo", sempre pronti a cercare le
cause delle rivolte sociali nelle influenze esterne, l'esplosione di rivolte a
cui partecipano ampie fette di popolazione hanno sempre delle cause interne di
varia natura economica, sociale e politica, su cui inoltre si innescano
rivendicazioni etniche e/o religiose. Su queste poi cercano di far leva gli
interessi politici ed economici delle classi borghesi nazionali e gli
interessi economici e strategico-politici degli Stati imperialisti, che
cercano di utilizzare gli eventi a loro favore.
In Ucraina si scontrano le
differenze economiche ed etniche di due settori geo-politici: quello
occidentale e centrale a prevalenza etnica ucraina, caratterizzato da una
bassa industrializzazione e da un enorme bacino agricolo sotto sfruttato,
storicamente più legato alle Nazioni che confinano ad occidente (e quindi più
tendenzialmente all'Europa), e quello orientale e meridionale, a prevalenza
etnica russa, caratterizzato da una più forte, anche se obsoleta,
industrializzazione, storicamente ed economicamente più legato alla grande
madre Russia.
La rivolta esplode nel
settore centro occidentale ed assume, per le peculiarità sopra esposte,
caratteristiche anti-Russe. Ha origini politiche, prevalentemente nelle classi
medie e negli studenti che si ribellano contro la corruzione dell'apparato
statale del filo russo Yanukovich, e origini socio-economiche in seguito alle
illusioni delle classi lavoratrici, tradite dalle oligarchie dirigenti
susseguitesi dopo la caduta del muro di Berlino e tradite dagli effetti
dell'ultima crisi capitalista.
In questo scenario si
inseriscono, come spesso accade a queste longitudini, i tentativi delle
organizzazioni di estrema destra e fasciste di aumentare la loro influenza
attraverso l'acquisizione di fette di potere politico; è la strada che stanno
percorrendo organizzazioni del settore centro-occidentale, fasciste e
nazionaliste, come i partiti Svoboda, Batkivshchyna e Pravy
Sektor, spesso in concorrenza tra loro. Ma le organizzazioni fasciste sono
proprie anche del blocco antagonista filo-russo, dove estremisti di destra,
stalinisti, Cosacchi e fanatici ortodossi, combattono tutti insieme contro i
Banderoviti (soldati di Stepan Bandera, capo militare e politico
collaborazionista durante l'occupazione nazista). La sola differenza è la
tradizione storica a cui si richiamano.
Ed in questo scenario si
innescano anche le mire politico-economiche dei potentati oligarchici locali,
in concorrenza tra loro, come quelli rappresentati dalla famiglia Yanukovich o
da Yulia Tymoshenko, personaggio falsamente descritto dalla propaganda
mediatica occidentale come un'eroina della libertà, quando in realtà è una
sorta di Berlusconi ucraina, immischiata in diverse faccende finanziarie.
Ed in questo scenario, e non
poteva essere altrimenti, si inseriscono gli interessi degli Stati
imperialisti. Interessi che sono strategici, addirittura vitali, come quelli
russi che in Crimea hanno una loro fondamentale base militare; politici come
quelli nord-americani, che cercano di sfruttare il conflitto per far perdere
terreno alla Russia o perlomeno di ostacolare un probabile avvicinamento di
interessi tra questa e la UE. Ci sono gli interessi politici ed energetici
dell'Europa, visto che l'Ucraina è, come dicevamo sopra, terra di
attraversamento di importanti corridoi energetici che trasportano gli
idrocarburi russi in territorio europeo. Ed infine ci sono gli interessi
economici cinesi, indifferenti alla forma politica dello Stato ucraino, ma
profondamente interessati alle potenzialità agricole dello stesso.
Che il conflitto, o la
spartizione del paese per evitarlo, sia quindi inevitabile è quasi un dato di
fatto: da un lato nazisti galiziani e nazionalisti confusi appoggiati dalla
Unione Europea a caccia di mercati e di manodopera a basso costo, con a fianco
l'amico/rivale Stati Uniti desideroso di spostare ad Est il fronte NATO,
dall'altro la Russia che non è disposta ad essere spodestata dalla propria
influenza su territori vitali.
Tutto questo impone una
riflessione su quanto sta avvenendo. È fondamentale, a partire dagli strumenti
analitici in possesso della prassi antiautoritaria e antimperialista, fare il
possibile affinché la classe lavoratrice non sia preda dell'influenza nefasta
dell'uno o dell'altro potentato interno e dell'uno o dell'altro polo
imperialista. Perché troppo spesso si assiste a fatidici antimperialisti che
si schierano con Putin e la Russia, oppure a parte della sinistra "per bene"
che si trova a fianco dell'imperialismo americano ed europeo, a rappresentanze
politiche che stanno zitte o balbettano confuse, ai seguaci della caduta
tendenziale del tasso di profitto e della "comunistizzazione" subito che si
perdono in analisi tanto fantasmagoriche quanto inutili.
È importante innanzitutto
fare chiarezza sul fatto che il proletariato ucraino non ha governi amici, che
siano di colore bruno o arancione, e che il proletariato internazionale non ha
Stati amici, che siano borghesi o presunti operai. E che non esistono
scorciatoie nazionaliste: l'unica strada percorribile, a corto e a lungo
termine, è l'autonomia e l'autodeterminazione delle classi sfruttate a tutte
le latitudini e le longitudini. Fare chiarezza su questo aspetto, in questo
periodo di grande confusione, è il primo obiettivo, senza il quale non sarà
possibile costruire, così come auspichiamo, una ricomposizione del fronte di
classe internazionalista.
L'assenza di guerra non è
pace, ma ora come ora che per evitare che il maggior numero di proletari
rimangano coinvolti in una guerra fratricida, che almeno la ridisegnazione dei
confini e degli assetti avvenga senza ulteriori spargimenti di sangue.
Segreteria Nazionale
Federazione dei Comunisti Anarchici